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The Girl Who Didn't Want to Konw (4140) - MICHELE PETRELLI | Contemporary Artworks

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MICHELE PETRELLI

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The Girl Who Didn't Want to Konw (4140)

The Girl Who Didn't Want to Konw

Original painting by Michele Petrelli ©

La Ragazza che Non Voleva Sapere

Nella città dove tutti correvano verso qualcosa,
lei aveva scelto la stanza come unico destino,
il letto come regno, l'ozio come corona,
convinta che l'ignoranza fosse solo una parola.

Da molto giovane aveva imparato l'arte degli espedienti:
un sorriso per evitare l'interrogazione,
una scusa per saltare l'esame difficile,
una bugia per coprire i compiti mai fatti.

"La scuola è per chi non ha talento naturale,"
diceva a se stessa mentre gli altri studiavano,
"io sono intelligente in modi che loro non vedono,
non ho bisogno di libri per capire il mondo."

Ma gli anni passarono come acqua tra le dita
e i suoi coetanei iniziarono a parlare lingue
che lei non riconosceva più: equazioni, romanzi,
teorie, scoperte, pensieri che avevano radici.

Quando cercava di unirsi alle loro conversazioni,
le parole le morivano in bocca ancora prima
di nascere, perché non aveva nulla da dire,
nessun seme piantato da cui far crescere discorsi.

Così si ritirò nella sua stanza sempre più spesso,
nel letto che era diventato barca e prigione,
guardando il soffitto per ore senza muoversi,
aspettando che il tempo passasse senza chiederle nulla.

Ma la mente umana è fatta per correre e creare,
non per giacere inerte come pietra nel fango,
e quando non le dai da mangiare pensieri veri,
inizia a nutrirsi di ombre e fantasmi notturni.

Una notte, mentre la città dormiva nel silenzio,
due figure apparvero ai piedi del suo letto,
un uomo anziano con veste di altro tempo
e un altro con corona di alloro sui capelli.

"Io sono Dante," disse il primo con voce grave,
"e questo è Virgilio, mio maestro e guida.
Siamo venuti a mostrarti cosa hai perduto
chiudendoti in questa stanza come talpa cieca."

Lei li guardò confusa, senza riconoscerli,
non sapeva chi fossero né perché parlassero
di mondi sotterranei e stelle sopra l'abisso,
di peccati e redenzioni che non capiva.

Dante iniziò a raccontare del suo viaggio,
delle anime che aveva incontrato nell'Inferno,
della luce che aveva visto in Paradiso,
ma dopo tre minuti la ragazza già dormiva.

La notte seguente vennero altri due visitatori:
una donna con occhi acuti e penna d'acciaio,
un uomo con barba lunga e sguardo di fuoco.
"Io sono Virginia," disse la prima, "e scrivo
di stanze proprie e diritti negati alle donne.
Lui è Dostoevskij, scrittore di anime tormentate.
Siamo qui per insegnarti cosa significa pensare."

Ma mentre parlavano di libertà e coscienza,
di colpe che divorano e amori impossibili,
la ragazza sbadigliò e chiuse gli occhi pesanti,
scivolando nel sonno prima della fine.

Poi vennero Einstein con i suoi capelli ribelli,
Marie Curie con le mani bruciate dal radio,
Socrate con domande che non avevano risposte,
Simone de Beauvoir con la sua seconda sessualità.

Ogni notte nuove figure, nuovi tentativi,
matematici che mostravano equazioni come poesie,
filosofi che costruivano cattedrali di pensiero,
scienziati che rivelavano segreti dell'universo.

Ma lei dormiva sempre prima della rivelazione,
la sua mente era muscolo mai allenato alla fatica,
non poteva reggere il peso di idee complesse,
crollava sotto ogni tentativo di comprensione.

Passarono così settimane di apparizioni inutili,
finché una mattina tutto cambiò improvvisamente.

Si svegliò con la gola secca e lo stomaco vuoto,
non mangiava da ore perché uscire dalla stanza
significava incontrare persone che parlavano
di cose che lei non capiva, facendo domande
a cui non sapeva rispondere con naturalezza.

Decise di scendere al bar all'angolo della strada,
quello dove non ti chiedevano niente di complicato,
dove bastava indicare col dito cosa volevi
senza dover pronunciare nomi difficili o scegliere.

Uscì dall'appartamento al quinto piano
e si diresse verso l'ascensore come sempre,
ma trovò un cartello appeso alla porta metallica,
scritto in caratteri piccoli e fitti di parole.

Iniziò a leggere: "A causa di manutenzione straordinaria
per sostituzione dei cavi di trazione usurati
che presentano rischio di cedimento strutturale
si prega di utilizzare le scale di emergenza..."

Le parole iniziarono a danzare davanti ai suoi occhi,
troppe sillabe, troppi concetti uno dentro l'altro,
frasi che si avvitavano su se stesse come serpenti,
spiegazioni che richiedevano di seguire il pensiero.

"Perché devono sempre complicare tutto?"
pensò infastidita, allontanando il cartello,
"Perché questa letteratura?"

Ma in fondo al cartello, nell'ultima riga minuscola,
c'era scritto proprio questo in grassetto e maiuscolo:
"ASCENSORE FUORI SERVIZIO - USARE LE SCALE"
Ma lei aveva smesso di leggere dopo le prime due righe.

Aprì la porta dell'ascensore con impazienza,
il meccanismo non era stato ancora bloccato,
la cabina non c'era, solo il vuoto del vano
che scendeva cinque piani fino al seminterrato.
Fece un passo avanti nell'oscurità familiare,
aspettandosi di sentire il pavimento solido
della cabina che l'aveva sempre accolta,
ma sotto il piede non c'era nulla.
L'ultimo pensiero, mentre iniziava a cadere,
fu di stupore più che di paura: "Ma com'è possibile?"
Come se il mondo avesse tradito un accordo tacito,
come se la realtà dovesse adattarsi a lei
e non lei alla realtà con le sue regole precise.

Cinque piani di caduta nel buio del vano,
cinque piani per capire troppo tardi
che le parole scritte non sono nemiche
ma possono essere mani tese per salvarti dal precipizio.

Nella sua stanza trovarono libri mai aperti,
corsi online mai iniziati, dizionari impolverati,
e sul comodino un appunto scritto da lei stessa:
"Domani inizio a studiare. Promesso."

Ma domani non era mai arrivato per lei,
perché aveva creduto che il tempo
fosse una risorsa infinita, che ci sarebbe stato
sempre un altro giorno per imparare quello
che serviva sapere per restare al mondo.

Nella città dove tutti correvano verso qualcosa,
qualcuno si fermò davanti a quel palazzo
e guardò le scale con occhi nuovi,
pensando alla ragazza che non volle salirle
e cadde credendo che il mondo le dovesse
un passaggio comodo verso ogni destinazione.

E forse, quella sera, qualcuno aprì un libro
che aveva lasciato chiuso troppo a lungo,
per capire che ogni parola non compresa
è un gradino che non sai salire quando serve,
è una porta che non sai se apre sul vuoto
o su qualcosa di solido che ti regge.

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