Antieroine del nostro tempo - MICHELE PETRELLI | Contemporary Artworks

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Antieroine del nostro tempo


I colori dell’anima delle antieroine del nostro tempo.  di M. Petrelli

Sono forme della loro trasparente interiorità le donne dipinte da Michele Petrelli. I loro volti ed i loro corpi tratteggiano, in modo peculiare e variegato, le sensibilità incarnate di una femminilità originaria, essenziale, assoluta. E per l’osservatore è subito “incontro” con queste iconiche antieroine del nostro tempo: affacciandosi da uno sfondo quasi liquido, privo di confini e di limiti, il loro tratto distintivo comune è una pervasiva forza seduttiva, declinata di volta in volta come innocente o provocante, libera o trattenuta, sognante o agita, appagata o turbata. Il soggetto rappresentato è spesso decontestualizzato, avvolto in una sintesi di spazio e luce, di inquietudine e bellezza. Larghe pennellate di colore emotivo si accendono nei dipinti di Petrelli, le linee tracciate si fanno soglie di profondità, rughe di concentrazione di energie: l’orizzonte di segni che esse insieme dispiegano è un invito a muoverci per attraversare quel confine. Ed ecco che all’improvviso il soggetto di questi quadri si farà strada dentro l’osservatore senza annunciarsi….con un solo sguardo. Ed è un incontro interiore. Fermarsi alla superficie del dipinto, senza interrogarsi sul suo “mistero” ci impedirebbe di partecipare della straordinaria capacità che Petrelli ha di “vedere” e “farci vedere”, trasformando le pennellate sulla tela nelle ondose volute di un empatico flusso di coscienza.
Petrelli mira a cogliere l’essenza esistenziale del soggetto raffigurato, cancellando il limite tra immagine ed interiorità. Ogni ritratto di donna è un micro-racconto: la breve storia di una personalità, di una identità, di una relazione, di un’inquietudine. Mancano gli oggetti e quando sono raffigurati, appaiono come il simbolico referente di un aspetto del carattere… c’è solo la donna posta di fronte alla sua identità, come davanti ad uno specchio.
Petrelli dipinge singole moltitudini ed in quei visi di una forte potenza realistica ogni donna può ritrovare un po’ di sé. E’ una femminilità ostinata e sensuale, altera e materna, volitiva e ironica, che non arretra di fronte alle proprie fragilità. Queste donne conoscono la fatica del vivere, hanno esercitato i muscoli e ora sanno come dominare sia lo spazio che l’uomo; talvolta stemperano le loro debolezze ricorrendo ai triti clichè della mascolinità (ma non per aderirvi passivamente, bensì per distanziarsene ancor di più), ma non rinunciano mai alle loro attitudini materne, persino quando si vendono (come in Prostitutes): per loro la maternità è anzitutto un tratto dell’anima.
Sono donne in cui si sublima la sensualità della carne, fino a diventare un messaggio di forza morale, capace di redimere ed elevare (come in Flamenco rosso).
Emblematica la scelta di privare talvolta la donna della funzione meramente ornamentale dei capelli: in Pregnant, essi si fanno “nido” (ancora un riferimento alla maternità), in Medusadiventano tentacoli nello spazio (per conquistarlo o per aggrapparsi e non cadere?).
In Sara vediamo una donna che si prende in giro con le smorfie, ma, in realtà, si sta interrogando: è come se volesse vedersi in un altro modo per ritrovarsi, alla ricerca di un’identità “altra” che non riesce a definire, sperimentando in tal modo l’alterità già dentro di sé.
In Monkey vediamo una donna il cui braccio ha la rapacità di un uccello: le sue dita sono artigli che si protendono avide verso il mondo per ghermirlo ma, allo stesso tempo, è come se fossero da questo risucchiate, fino a sfrangiarsi o liquefarsi verso il basso. In un movimento uguale ma contrario, i capelli di questa donna sono invece risucchiati dall’aria verso l’alto, cosicché essa appare come in bilico o in equilibrio tra forze ed istanze che si oppongono.
In Susanne 04 c’è una donna che sembra aver bisogno di tepore, di tenerezza , di qualcosa che possa darle un senso, di un’emozione che sia calda proprio come il colore giallo che Petrelli usa. Nel languido abbandono cui questa donna si lascia andare c’è il senso di un’attesa: è come se lei se ne stesse lì, dolcemente sognante ma recettiva, pronta ad accogliere una mano tesa che la prenda, oppure un segno che le dischiuda un nuovo orizzonte. Non è una resa, ma solo un momento di pausa dal suo essere forte e tenace, un frammento di tempo in cui cede le armi, ed in cui non si difende. Chiusa nel suo voler-dover essere dura, in quella corazza quotidiana in cui si cala per stare nel mondo,si sente oppressa e avverte ora il bisogno di rilassarsi, di cedere ad una tenerezza che forse tarda ad arrivare. In Adamo ed Eva e in Man with pinwheel, Petrelli volutamente non ritrae più la bellezza della donna, mirando piuttosto a coglierne la funzione originaria di alterità biologica, rispetto al maschio: sono femmine più che donne, termine binario di una polarità sessuale ricondotta alla sua dimensione primigenia, puramente riproduttiva. Eva ha la forza materica della terra, di cui è di fatto impastata, fino ad esserne l’elemento animato consustanziale. Queste donne-femmine, prive degli orpelli e dei belletti della mediazione culturale, sono vestite dei loro sorrisi compiaciuti e sornioni: sono creature vigili e presenti più che mai (anche quando appaiono in secondo piano sullo sfondo), hanno l’aria di saperla lunga loro e ci si chiede ironicamente cosa ne sarebbe mai del maschio/uomo senza di esse. Tuttavia, sia nel suo cotè più biologico (la femmina) che in quello più culturalmente mediato (la donna) la forza incorporata in queste figure non è mai prepotente ed arrogante: è temperata dalla delicatezza delle farfalle svolazzanti sulla testa di Sara, assume la posa languida e soporosa di Susanne 04, si accende delle tinte passionali di flamenco rosso, impara a convivere con il vuoto irriducibile della solitudine, come in Medusa 04.
Incrociare lo sguardo di Medusa è, si sa, letale, ma Petrelli ci invita comunque a “guardarla” e a “rischiare”, forse per sfidare quell’atteggiamento comune a molti di voler “possedere” senza prima essersi sforzati di “guardare”. Raccogliere questa sfida equivarrebbe allora a pietrificare una volta per tutte le nostre convinzioni superficiali, i nostri giudizi triti e veloci. In fondo a quello sguardo che intimorisce e “cattura” c’è forse la traccia della vera bellezza che si nasconde: la verità della persona.
È proprio questo, in definitiva, l’invito che la donna di Petrelli ci lancia come sfida e come compito: un guardare che miri a stanare e cogliere la verità, perché solo l’incontro con la verità è bellezza che può salvare o redimere.
Al cuore della pittura di Petrelli, suggellato da sapiente tecnica e indiscutibile talento, palpita fremente un delicato anelito di salvezza, fragile ma tenace.
A cura di Gabriella Grande

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